• Abiola Wabara, cestista italiana di origini nigeriane in una squadra lombarda, è stata colpita da sputi ed insulti in una partita a Como. Le storie di ordinario razzismo non si contano. Si è letta sul "Corriere di Rimini" la lettera non smentita su un'automobilista, cittadina comunitaria, multata con l'invito a tornarsene a casa.
    Guardiamo al nostro passato. Le radici contano nel bene e nel male. Da "Il Popolo d'Italia" del 6 agosto 1938: "Il razzismo italiano data dall'anno 1919 ed è base fondamentale dello Stato fascista". Le infami leggi razziali sono del 5 settembre 1938. Bravi razzisti però ci sono anche prima. Fermiamoci all'inizio del secolo passato. Nel primo decennio arriva a vele spiegate da Germania e Francia lo spirito nazionalistico che contiene in sé pure l'antisemitismo: "per i nazionalisti gli ebrei erano elementi estranei ed intimamente ostili alle singole compagini nazionali, che cercavano di disgregare mediante la loro potenza economica e mediante la diffusione di dottrine democratiche e socialiste" (G. Candeloro).
    Qualcuno da noi fa l'occhietto ai nazionalisti. Che trovano "ben presto un solido sostegno nei gruppi industriali interessati alla politica di armamenti e di espansione coloniale" (G. C.). 1914, il foglio ufficiale del nazionalismo scrive che il movimento è "odio di razza". E poi precisa: il suo fine è creare un imperialismo italiano. Si guarda alla guerra che infuria come occasione per far occupare anche all'Italia un posto nella Storia e negli affari. Per i quali le grandi Potenze combattono "con l'ardimento, con la volontà, col sacrificio attuale di sangue e di danaro, e più ancora con l'animo risoluto e virile". L'anno dopo c'è l'intervento.
    1919. Il capo dei nazionalisti Enrico Corradini scrive: la guerra mondiale ha chiuso la fase dell'evoluzione nazionale ed aperto quello dell'evoluzione imperiale. Nel 1922 Corradini rivendica di aver progettato l'imperialismo italiano sin dal 1908.
    Nel 1923 i nazionalisti la buttano sul classico. Il filosofo Emilio Bodrero dell'Università di Padova esorta gli italiani a leggere l'Odissea di Omero, "il poema di una rivoluzione e di una controrivoluzione" avvenute sul mare. E che ci fa sentire contemporaneamente figli di Ulisse e di Troia, ed eredi di Enea e di Virgilio. Con la speranza di poter dominare il mare su cui Ulisse ed Enea hanno viaggiato. Nel 1936 con 4 ori olimpici a Berlino, il nero Jesse Owens ridicolizza i razzisti. Senza aver letto Omero. [1037]

    Antonio Montanari
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    il Ponte, Rimini, 24 aprile 2011


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  • Il 30 marzo 1911 scompare Pellegrino Artusi, nato nel 1820 a Forlimpopoli. Da dove è fuggito a Firenze, dopo la drammatica notte del "Passator cortese" (1851). Suo padre Agostino fu preso di mira da Stefano Pelloni assieme agli altri benestanti del paese. Una delle sue due sorelle, Gertrude, "fuggì per i tetti, seminuda e terrorizzata, tornandone con i cappelli imbiancati" (V. Emiliani). La giovane ne resta segnata per tutta la vita con scosse convulsive. Aggravate da un matrimonio (combinato, secondo le usanze del tempo) con un tipo rozzo, villano e manesco che, aggiunge Emiliani, la fa finire in manicomio a Pesaro.
    Nel 1891 Artusi pubblica a sue spese un'opera destinata alla celebrità, "La scienza in cucina e l'arte del mangiare bene": con bistecca e risotto ha condito una lingua che ha unito l'Italia (G. L. Beccaria). Ad Emiliani dobbiamo un efficace ritratto di Artusi: un solido borghese non scalfito dalle "terribili questioni sociali emerse dall'Italia unificata". Un'occhiata ai fatti: dal gennaio 1869 c'è la tassa sul macinato che provoca agitazioni e rivolte delle masse contadine, costrette a pagarla immediatamente al mugnaio, osserva G. Candeloro in una pagina integralmente ripresa da Montanelli.
    Nelle nostre zone avvengono scontri sanguinosi con la forza pubblica: 26 morti soltanto nel Reggiano. In tutt'Italia, sono 250. Più migliaia di feriti. A Bologna è sequestrato "L'amico del Popolo" per un articolo intitolato "Il balzello della fame". La Romagna, ricorda M. Cattini, ha i più alti coefficienti di mortalità, grazie anche alla pellagra. Nelle nostre campagne si vive peggio che altrove. Già da tempo.
    Tra 1765 e 1768 pure Rimini è colpita da una grave carestia che costringe alla fame, sino al pericolo di vita, il "popolo minuto". I poveri rappresentano il 20% della popolazione. Roma nega una sovvenzione per soccorrere i bisognosi. A mons. Giuseppe Garampi procuratore di Rimini nella capitale, spiegano che "si tiene per esagerato ogni bisogno". E che "la Campagna fornisce ora Erbaggi e Frutti, coi quali supplire a qualche deficienza di Pane".
    Le sintetiche cronache di L. Tonini (1843-74) registrano ripetute sommosse per il grano da parte di marinai, braccianti e donne dei marinai. Nel 1847 è ucciso un mercante di cereali, Massimiliano Pedrizzi, accusato di esportarlo a danno della città. Aumenta la miseria e nel 1859 si vieta il libero questuare. In Romagna, scrive Artusi, "si può far vita gaudente con poco". [1036]

    Antonio Montanari
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    il Ponte, Rimini, 17.04.2011



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  • Carta cantaIl ruolo di Rimini nell'industria dell'ospitalità è bene illustrato dalla prof. Annunziata Berrino, docente di Storia Contemporanea alla Università Federico II di Napoli, nella sua "Storia del turismo in Italia" (Bologna 2011). C'è lo stabilimento dei conti Baldini, finanziato dalla Cassa di risparmio di Faenza, 1843. Ci sono gli investimenti pubblici (1873) voluti da "un influente gruppo di proprietari-consiglieri, che riesce a scaricare sul bilancio comunale i rischi di un investimento che appare ai privati ancora troppo rischioso".
    Il Comune ha gravi perdite. Si favorisce soltanto la ricchezza privata. Nel 1890 si incentivano i villini economici. La gente arriva non più per curarsi al mare, ma per divertirsi in Riviera. Agli inizi del 1900 Rimini domina l'Adriatico, mentre Viareggio regna sul Tirreno.
    Nel 1931 il mitico podestà Pietro Palloni scrive al sottosegretario agli Interni, Leandro Arpinati, un ex operaio anarchico di Bologna, "una lettera lucidissima e drammatica": in Italia manca qualsiasi intervento dello Stato nella propaganda e valorizzazione delle stazioni turistiche comunali.
    Il tema era allora molto discusso. Lo ha affrontato nel maggio 1928 e nel dicembre 1930 Valfredo Montanari sulla rivista "Turismo d'Italia", come si legge in un altro lavoro della prof. Berrino, relativo alla nascita delle Aziende di Soggiorno (1926), pubblicato da "Storia del turismo. Annale 2004" (Milano 2005).
    Il podestà Palloni è nominato il 18 aprile 1929. Il 10 febbraio 1930 Valfredo Montanari prende servizio al Comune di Rimini come Capo Ufficio ai Servizi Balneari e Contabilità dell'Azienda di Cura, con delibera podestarile del 20 gennaio 1930.
    Il ruolo di studioso del turismo svolto da Valfredo Montanari (1901-1974) negli anni Trenta, emerge anche da un testo apparso nel 1997 in Finlandia (a cura di Taina Syrjämaa, "Visitez l'Italie. Italian State Tourist Propaganda Abroad 1919-1943. Administrative Structure and Practical Realization"). Dove si cita un suo articolo del 1933 dedicato a "La pubblicità collettiva". Taina Syrjämaa appartiene alla "School of History, University of Turku". Il suo libro ha avuto sei edizioni. Per il 2011 Turku è una della capitali europee della cultura.
    Il volume di Berrino parte dai viaggiatori del 1800 e si conclude con un accenno alla crisi del modello turistico romagnolo, ed alla nascita del divertimentificio, citando un testo di P. Battilani del 2002: il rumore soppianta la vacanza tranquilla.

    Carta canta

     

     

     

     

    Antonio Montanari
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  • Non è più il tempo di credere che l'Italia debba aspettare il verbo da Parigi o da Berlino. Parole di Crispi (1888), un colonialista, ma anzitutto un meridionale: servono per i contadini del Sud, le terre d'Africa. Vi abbiamo buttato un occhio nel 1882, anche per far concorrenza a Parigi e Berlino. Poi (1885-90) abbiamo formato la colonia Eritrea e conquistato parte della Somalia. Nel 1887 a Dogali massacrano 500 nostri soldati.
    1896, sconfitta di Adua in Abissinia. Dei nostri 20mila soldati, ne fanno prigionieri duemila. Dalle piazze di casa si grida "Via dall'Africa". Alla gente, scrive Benedetto Croce, si sono raccontate "fantasticherie e fandonie". Eritrea e Somalia debbono riempire stomaci vuoti. Tra autunno 1897 e maggio 1898 tumulti ci sono in tutt'Italia per il rincaro del pane. A Milano finisce a cannonate: 118 morti secondo i socialisti, 84 per il governo.
    Nel 1911 l'Italia guarda alla Tripolitania. Il nazionalista Filippo Corradini sostiene: "Laggiù possono vivere milioni di uomini". Ne bastano 50mila da mandare alla guerra di Libia. Si canta: "Tripoli, bel suol d'amore". Dopo sarà la volta di un altro motivetto: "Faccetta nera bella abissina", al tempo della corsa all'impero. Nel 1930 bombardiamo con l'iprite un'oasi: cercavamo inesistenti ribelli fuggiti dalla Tripolitania, facciamo soltanto una strage di pastori e contadini. In Etiopia (1935-36) usiamo sistematicamente i gas, senza dirlo a nessuno. Indro Montanelli non ci crede sino al 1996.
    6 ottobre 1935, "Adua è stata riconquistata" titolano i giornali. Il 5 maggio 1936 l'Etiopia è italiana. Il CorSera spiega che è "per la logica della Storia" e per una nostra missione. Vittorio Mussolini ricordava: dar fuoco a paesini e capanne "era un lavoro divertentissimo", con "quei disgraziati che scappavano come indemoniati". Migliaia di patrioti etiopi sono rinchiusi nei campi di sterminio o deportati in Italia, seimila abitanti di Addis Abeba sono trucidati dopo il fallito attentato a Graziani.
    Graziani, quello che girava "per Tripoli con la sahariana bianca, su un cammello, sei negrette a seno nudo che gli facevano vento e ai suoi piedi, trascinato in catene e nella polvere, il capo dei guerriglieri senussiti, sterminati con i gas" (F. Merlo). Il 9 maggio 1936 arriva l'impero. Lo scrittore Corrado Alvaro ricorda: alla cerimonia della proclamazione, una principessa di Casa Savoia, a cui Mussolini bacia la mano, gli dice: "Duce, siamo noi che dovremmo baciarvela". [1035]

    Antonio Montanari
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    il Ponte, Rimini, 10 aprile 2011


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