• Che disperazione gli archivi. Per fatti indipendenti dalla mia volontà, ritrovo notizie stagionate che valgono ancora. Il Tama 880 (2003) scomodava Giovenale che nelle "Satire" scrisse: "Cosa farò a Roma? Non so mentire", aggiungendo: "A Roma tutto ha un prezzo". Poi toccava a Silvio Berlusconi che, alla conferenza sulla Costituzione europea, aveva promesso di risolvere tutto presto e bene, dicendo: convincerò i riottosi con il fascino.
    Il 14 luglio 2009, in un mio blog politico ospitato da un grande quotidiano torinese, citavo la proposta fatta al Pd dal quasi nostro concittadino Beppe Grillo, d'entrare nel partito e di candidarsi alla sua segreteria.
    Commentavo che il comico genovese da qualche tempo aveva la fissa della politica, e non diceva cose grezze o sbagliate: "Anzi, spesso sono cose che rispondono al vero, bisogna riconoscerlo obiettivamente, anche se la sua battaglia è più pubblicitaria che politica". Grillo, aggiungevo, è il primo a non credere nella politica: "Per fargli un dispetto, mandatelo soltanto per poche ore con un salvacondotto medievale, a presiedere non dico la Repubblica o il governo, ma un consiglio comunale. Scommettiamo che gli verrebbe da ridere, e se ne scapperebbe a gambe levate". Aggiungevo: "Grillo è nato oppositore. Cerca soltanto di prendere per i fondelli l'intera classe dirigente del Pd. Uno sport troppo facile per essere intelligente. Non per difendere certe situazioni indifendibili, ma perché demolire significa anche saper costruire. I comici sono dei formidabili demolitori. Ma più di così non sanno e non possono fare. Ad ognuno il suo ruolo. Soprattutto perché certi politici italiani (sia detto in orizzonte bipartisan) più che far ridere fanno piangere".
    Circa Bersani, mi permettevo di scrivere che egli (vittima di qualche complotto di avversi numi) aveva sbagliato a sognare un partito organizzato come una bocciofila. Ma questo, concludevo, non autorizza a credere che chi lava i pavimenti sia in grado di fare pure una lavanda gastrica. Dunque, tornando all'oggi, nessuna meraviglia (e non per colpa mia) se sotto il cielo politico di Roma, regna una confusione che, obiettivamente parlando, poteva essere prevista già nel luglio 2009, se si fosse compreso che l'unico partito monolitico è quello del Cavaliere, mentre nell'altro, appunto il Pd bersaniano, ci sono tanti che vorrebbero non la gestione calata dall'alto, ma maturata in un confronto che invece piace molto poco. [Anno XXXII, n. 1120]

    Fuori Tama 1120


    Antonio Montanari
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    "il Ponte", settimanale, n. 12, 24.03.2013, Rimini


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  • Il ricordo del poeta Elio Pagliarani, con le annesse impressioni personali sull'Università di Bologna (17.02.2013), doveva avere un seguito che ho rimandato per motivi d'attualità, legati alla memoria riminese di papa Gregorio XII. Non ho potuto così proporre un breve accenno a quella Scuola pedagogica bolognese degli anni Sessanta che ha avuto il suo animatore appassionato in Giovanni Maria Bertin, scomparso novantenne nel 2002. E nella quale mi sono formato.
    Già nel 2002 raccontai sul web la mia gratitudine a quel Maestro, ripercorrendo l'esperienza di uno studentello delle Magistrali di Rimini che approdava a Bologna scoprendo un modo nuovo e diverso di fare cultura. Se oggi riprendo il discorso in questo angolo di giornale, è perché ritengo ancora valido, soprattutto nel momento presente, l'insegnamento di Bertin rivolto a formare nei suoi studenti una coscienza civile e politica attorno a due temi fondamentali. Quelli del dialogo e del vedere la Costituzione repubblicana come la Stella polare del nostro agire quotidiano nella vita pubblica che coinvolge tutti quanti, non soltanto i Politici.
    Bertin, con il suo chiaro e preciso stile, è di attualità nel mondo della cultura dei nostri giorni, come dimostrano due recenti volumi curati dai pedagogisti Franco Frabboni e Massimo Baldacci. Ma se quelle idee della Costituzione come Stella polare della vita politica, e del dialogo quale metodo per una società civile, fossero oggi riproposti con la necessaria urgenza e chiarezza, forse avremmo più speranza nel futuro e meno confusione in testa.
    Bertin ci ha insegnato che non dobbiamo avere una visione egoistica della vita, come se ci fossimo soltanto noi, e gli altri dovessero inchinarsi ai nostri voleri. Con gli altri possiamo dibattere, dobbiamo chiarire le singole posizioni, ma sempre nel rispetto di quel principio fondamentale della democrazia che è il dialogo, come necessità di comprendere chi è lontano e diverso da noi, per evitare il ripetersi dei drammatici conflitti di cui cinquant'anni fa noi studenti, per semplice questione d'anagrafe, portavamo non l'esperienza diretta ma il ricordo non lieve di quanto vissuto dalle nostre famiglie.
    La nostra generazione 'di mezzo' (dopo la guerra e prima della contestazione) non aveva nessuno strumento autonomo per giudicare e comprendere, al di fuori del bagaglio che ci veniva affidato da portare con fatica e scarsa soddisfazione. Forse oggi si rivive la stessa esperienza. [Anno XXXII, n. 1119]

    Antonio Montanari
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    "il Ponte", settimanale, n. 11, 17.03.2013, Rimini


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  • Dei quattro deputati eletti a Rimini, conosco soltanto Tiziano Arlotti. Tramite lui invio pure ad Emma Petitti, sua collega del Pd, Sergio Pizzolante (Pdl) e Giulia Sarti ("grillina", come suol dirsi), i migliori auguri per un proficuo lavoro. Lo faccio rispolverando dall'archivio alcune mie vecchie pagine in cui si parla di politica. Nel 2002 mi rivolgevo direttamente ad Arlotti, a commento di una sua lettera apparsa proprio sul "Ponte" sotto il titolo significativo di "C'era una volta la politica", in cui (trattando del suo lavoro di assessore all'Urbanistica) egli concludeva che "alla politica spetta il compito di denudare il Re".
    Mi permettevo di osservare: "La classe politica dirigente di quella che, con una convenzione retorica, chiamano della Prima Repubblica, non aveva personalizzato il potere (non c'era nessuna dittatura di un singolo uomo per ogni partito), ma aveva trasformato i partiti in quell'assieme di potere che permetteva di controllare tutto e tutti, per cui impunemente si praticava l'istituzione della tangente, con la scusa che era necessaria al mantenimento delle istituzioni-partito, ed allo svolgimento delle loro funzioni nella società civile".
    I freschi esiti elettorali per la prima volta hanno terremotato quel sistema che richiamavo nel 2002, e che è continuato (aggravandosi) sino ad oggi. Nel 2005 (Tama 921) ricordavo che a Rimini in pochi mesi due assessori avevano lasciato la Giunta comunale: Arlotti, come un carabiniere "uso a obbedir tacendo", e Lugaresi concedendo interviste. Restava la sostanza solita delle "mani sulla città", aggiungevo, chiedendomi: chi guida realmente le scelte urbanistiche?
    Lo scorso ottobre (Tama 1100) riandavo alle dimissioni di Arlotti nel 2005, citando il piano urbanistico del 2007 che prospettava una colata di nuovo cemento su una Rimini ridotta ad immenso mostro urbanistico. Nello stesso 2007, altrove ho scritto un intervento un po' urticante per gli amministratori riminesi, intitolato: "Se la politica strizza l'occhio ai palazzinari". Nel Tama 1100 ho ribadito che a Rimini avevano continuato a sognare i grattacieli in stile Dubai sul mare, proprio quando si stava rivelando la crisi economica mondiale. Scusi il lettore questa antologia utile per sottolineare come sia fuori luogo a Rimini lo stupore odierno davanti al calo dei consensi delle vecchie parti politiche, calcolato dall'Istituto Cattaneo di Bologna in -11,12% per il Pd, e -15,89% per il Pdl. [Anno XXXII, n. 1118]

    Fuori Tama 1118

    Antonio Montanari
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    "il Ponte", settimanale, n. 10, 10.03.2013, Rimini

     


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  • Tra quanti, lungo i secoli, hanno lasciato il pontificato, c'è Gregorio XII. Siamo al tempo del Grande Scisma (1378-1417). Eletto nel 1405, Gregorio XII si rifugia a Rimini il 3 novembre 1408, mentre si prepara il concilio di Pisa e dopo che Carlo Malatesti (1368-1429), signore di Rimini, lo ha salvato da un tentativo di cattura. Carlo, per contattare il collegio cardinalizio, utilizza Malatesta I (1366-1429), signore di Pesaro, che in precedenza si è offerto a Gregorio XII per una missione diplomatica presso il re di Francia, inseritosi nelle dispute ecclesiastiche per interessi personali.
    Carlo e Malatesta I sono parenti. Carlo è figlio di Galeotto I il quale è zio di Pandolfo II padre di Malatesta I. A consolidare la parentela, oltre gli affari e le imprese mercenarie, sono state due sorelle di Camerino, Gentile da Varano sposatasi con Galeotto I (1367), ed Elisabetta con Malatesta I (1383). Il quale è stato in affari e rapporti militari con Urbano VI.
    I lavori a Pisa iniziano il 25 marzo 1409. Gregorio XII è dichiarato deposto. Carlo vi arriva come mediatore fra Gregorio XII ed i padri conciliari, ma in sostanza quale suo difensore. Non è accettata la sua offerta di Rimini per una sede dell'assise ecclesiastica lontana dai fiorentini, avversari di Gregorio XII. Il primo approccio fra Carlo ed il concilio avviene attraverso Malatesta I che si era attivato dopo l'elezione di Gregorio XII (2 dicembre 1406), ricevendo in premio un vitalizio. Mentre era capitano generale di Firenze, Malatesta I aveva avviato negoziati fra lo stesso Gregorio XII e l'antipapa Benedetto XIII (eletto nel 1394), entrambi deposti in contumacia a Pisa il 5 luglio 1409 e dichiarati “scismatici, eretici e notoriamente incorreggibili”.
    Il loro posto, su iniziativa del cardinal Baldassarre Cossa, è preso il 20 giugno 1409 da Alessandro V (che scompare il 4 maggio 1410), detto “il papa greco”, provenendo da Candia. Gli succede lo stesso card. Cossa, con il nome di Giovanni XXIII, il 17 maggio 1410. Questi ricompensa lautamente Malatesta I per i servizi ampi e fruttuosi prestati alla Chiesa durante il concilio di Pisa, al fine della desideratissima unione. Carlo Malatesti interviene ripetutamente per il suo protetto che il 24 dicembre 1412 torna a Rimini. L'imperatore Sigismondo impone Costanza quale sede del concilio. Qui Carlo s'afferma come mediatore fermo ma aperto alle altrui ragioni. Il 4 luglio 1415 legge la bolla di rinuncia di Gregorio XII, scritta a Rimini il 10 marzo. [Anno XXXII, n. 1116]

    Fonte della pagina, Riministoria 2010-Rimini Moderna.
    Di Gregorio XII si parla anche in Alle origini di Rimini moderna (2), Romagna, Europa e poi Bisanzio.
    Indice Alle origini di Rimini moderna.

    Antonio Montanari
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    "il Ponte", settimanale, n. 8, 24.02.2013, Rimini


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  • Sono iniziate sui giornali le celebrazioni della cinquantina di poeti e scrittori che mezzo secolo fa, a Soluto vicino a Palermo, dettero vita al Gruppo 63. Tra loro c'era pure un riminese, Elio Pagliarani che per civetteria geografica si dichiarava nato (nel 1927) a Viserba. Nel 1962 aveva pubblicato un volume di liriche, "La signorina Carla", che lo rese popolare per lo spirito di contestazione della poesia tradizionale. Lo aveva già dimostrato in una cerchia più ristretta, nell'antologia "I Novissimi" (1961), curata dal guru di quella generazione, Luciano Anceschi (classe 1911), allora docente di Estetica al Magistero di Bologna. Il cui assistente era Renato Barilli, componente pure lui dello stesso Gruppo 63.
    L'ambiente bolognese del Magistero è stato ricordato da Giuseppe Chicchi (che di Rimini fu sindaco) in un volume autobiografico del 2011, con la preziosa pennellata che riguarda Ezio Raimondi, "grande italianista dalla sterminata cultura europea". Per il Magistero di Bologna fu, quella a metà degli anni 60, una stagione felice. Vi approdò nel 1964 anche Paolo Rossi, grande storico della Filosofia e della Scienza, che aveva con noi studenti un rapporto di confidenza e rispetto, facendoci lavorare sodo al pari di Raimondi e di Anceschi. Altro mito di allora era Gina Fasoli, docente di Storia. A lezione faceva tremare le vene ed i polsi perché rivolgeva domande agli studenti, mentre spiegava.
    Elio Pagliarani, dicevo, nel 1962 aveva già pubblicato il libro di poesie che lo rende famoso, e che s'intitola alla signorina "Carla Dondi fu Ambrogio di anni/ diciassette primo impiego stenodattilo/ all'ombra del Duomo". Pochi anni dopo (1971) nelle scuole italiane approda una nuova antologia, la "Guida al Novecento" di Salvatore Guglielmino che celebra l'ormai silenzioso Gruppo 63, e consegna alla fama anche l'opera del nostro viserbese Elio Pagliarani (scomparso nel 2012). Nel 1990 il giudizio positivo su di lui è confermato da una storia della letteratura del tutto innovativa, di Giovanna Bellini e Giovanni Mazzoni che parlano della "Signorina Carla" come di una delle opere più convincenti della nuova poesia italiana.
    In un'intervista su "il Venerdì" (1.2.2013), Umberto Eco, intellettuale sempre attivo in questi anni con imponenti iniziative editoriali, cita la "Signorina Carla" come opera sopravvissuta a tutto il trascorrere del tempo ed al precoce sgretolarsi del Gruppo 63. Di cui fu esponente, ma pure maestro. [Anno XXXII, n. 1115]

    Antonio Montanari
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    "il Ponte", settimanale, n. 7, 17.02.2013, Rimini


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