• A Vittorio Emiliani, «Romagnoli & Romagnolacci», come recita il titolo del suo ultimo libro (Minerva ed., Bologna), debbono essere grati per questa sua enciclopedia del ventesimo secolo. Nella quale Rimini ha un ruolo non secondario. A partire proprio dall'introduzione, dove Emiliani ci ricorda (p. 5) un aspetto spesso dimenticato o cancellato per convenienza diciamo così politica, il rispetto del passato.
    Emiliani rimanda al piano regolatore di Rimini al quale, alla fine degli anni '60, «ci si aggrappava per scongiurare la speculazione (un nuovo supermarket) che la Curia intendeva autorizzare nel palazzo dell'antico Seminario, a lato nientemeno del magico Tempio Malatestiano di Leon Battista Alberti».
    Come, nella stessa zona, quel passato sia stato poi violentato dai politici, lo dimostra ciò che ancor oggi si può vedere ponendosi accanto alla fiancata a mare del Mercato coperto, e guardando verso Est (il Nord è al porto...): ovvero l'inserimento volgare e becero del cemento moderno all'interno dei muri trecenteschi del convento francescano. Dove ebbe sede la prima biblioteca pubblica d'Italia (1430).
    E poi andate a controllare qualche vecchio volume che riproduca la facciata della chiesa di san Francesco, alla sinistra di quella del Tempio, oggi orribile prospetto di vetro e cemento. Esisteva ancora negli anni Cinquanta, quando al Tempio si teneva la Sagra musicale malatestiana, la cui prima edizione è del 1950, anno della riconsacrazione della chiesa dopo i restauri postbellici.
    Un'altra tirata d'orecchi, Emiliani la riserva a Rimini a p. 111 dove la definisce «strana città che la monocultura turistica esasperata ha letteralmente stravolto».
    E pure qui il rinvio è ad una questione edilizia, il rifacimento del teatro in piazza Cavour con un progetto poi ritirato dopo esser stato definito «culone». A questo progetto Emiliani collega «l'ottusità dimostrata da tutta una serie di amministratori riminesi» (p. 112). Non gli si può dare torto.

    Antonio Montanari
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  • Turismo ieri ed oggi.
    Rimini, una vocazione da rispettare.

    L'intervento di Giorgio Montanari sulle «varie tipologie vacanziere» («Corriere di Romagna» del 21.07) mette a fuoco aspetti fondamentali del nostro turismo, che riguardano ciò che un tempo si chiamava la vocazione delle località balneari. Purtroppo, negli ultimi decenni, si è passati dallo sviluppo di quella vocazione, storicamente consolidata, all'invenzione di modelli miseramente falliti.
    A Rimini si è tentato di sostituire la città del mare con quella della notte. Successivamente hanno meditato sul «modello Dubai», con grattacieli in riva al mare, per un futuro radioso di cemento che minacciava di cancellare la fisionomia delle nostre coste e della nostra cultura. La crisi economica, mondiale prima e nazionale poi, ha messo in ginocchio, anche a causa di altri fattori come quelli elegantemente detti malavitosi, un sistema economico che era frutto del sacrificio di tante persone che l'avevano creato, garantendo un'occupazione stagionale invidiata dal resto d'Italia.
    Per Rimini tutto ciò è gelosamente simboleggiato dalle ruspe del TRC che, nella «zona Lagomaggio», hanno demolito pezzi di case costruite negli anni del boom con tanti sacrifici, quando la camera da letto era data in affitto, e tutta la famiglia si trasferiva in un timido e ristretto garage.
    Oggi così va il mondo. Dimenticare il passato permette di ipotizzare che Rimini-città non debba essere sviluppata come luogo turistico. Essa non è soltanto un'appendice fondamentale della marina. Perché la città protegge e garantisce la marina.
    Nessuno vuol voltare le spalle al mare: si tranquillizzi il sindaco di Rimini, intervenuto il 18 luglio scorso («Corriere di Romagna»). Promettere nuove fogne non è un'impresa eroica, né un dono per interventi soprannaturali. Si tratta di ordinaria amministrazione.
    Molto efficace lo slogan propostoci dal sindaco: «Da città sul mare a città di mare». Ma in sostanza il discorso non cambia. Il mare non vive senza una città dietro di sé, che diventa un valore aggiunto per un turismo consapevole che esso, come tutta la vita comunitaria, non è un «credere, obbedire, combattere» di tragica memoria.
    Ma, come per la cultura, è confronto e dialogo, dove nessuno può pretendere di avere sempre ragione. E ciò vale per chi rappresenta la «Cosa pubblica» e per chi agisce in nome del «Privato», che mai è stato un'opera caritatevole vocata alla perdita dei soldi investiti. Come ci si vuol fare credere ora, per certe situazioni in crisi o disperate, nonostante proclami di futuri bilanci positivi.
    La «zona Lagomaggio» violentata dal TRC è proprio il simbolo all'incontrario di quella «città di mare» a cui pensa il sindaco di Rimini nell'articolo del 18 luglio. Ma come si fa a conciliare il suo programma con i fatti che l'Amministrazione comunale di Rimini approva e condivide, anche se smentiscono quel programma? Il TRC non è un'opinione, è una dura realtà.
    I ruderi di Palazzo Lettimi in pieno centro, invece di essere utilizzati come ambiente «parigino» (definizione ufficiale del Comune) per recite o concerti, dovrebbero diventare un luogo della memoria, un archivio ben sistemato e protetto di immagini della città e del suo mare, a 70 anni dalla Liberazione di Rimini e dalla fine di quel dramma che fu la guerra che rase al suolo tutta la città.

    Antonio Montanari
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  • Il cane da guardia.
    Giornalismo e politica a Rimini in crisi.

    Lettera a "il Ponte", 7 dicembre 2013


    Caro Direttore don Giovanni Tonelli,
    il tuo editoriale apparso nel "Ponte" dell'8 dicembre scorso, lancia un giusto ed onesto allarme sulla crisi di Rimini.
    Fonte bene informata mi spiega che la "situazione" dell'aeroporto di Miramare era nota agli addetti ai lavori già da sei anni. Noi "semplici cittadini", come recitavano le cronache politiche di un tempo, abbiamo smesso da parecchio di meravigliarci, non perché dotati di particolare sensibilità, ma soltanto in virtù del fatto che alla favola della cicogna non abbiamo mai creduto. Né ci crediamo soprattutto ora.
    Un Comune come Rimini, che per la prestigiosa carica di Assessore alla Cultura va in prestito a Cesena onde trovare una persona degnissima, racconta forse in maniera trascurata ma efficace una certa visione del Mondo che non è considerata meritevole di attenzione.
    All'inizio di questo secolo XXI, a Rimini si facevano grandi (e strani) progetti, proprio mentre da molto lontano arrivavano chiari segnali della crisi economica mondiale incipiente, che ora ha ridotto noi italiani come dei naufraghi senza scialuppa di salvataggio. E a chi, come il sottoscritto, ne scrisse qualcosa sopra un quotidiano locale, arrivò la risentita risposta politica che rivendicava, con elegante ma sovrabbondante retorica, l'inconfessata superiorità della classe dirigente amministrativa che si autoproclamava unica depositaria della funzione di decidere.
    L'aumento dell'astensionismo alle urne, e quelle forme partitiche classificate con la controversa etichetta di "populismo", confermano un unico dato di fatto: i cittadini non riescono più a sopportare ("digerire") questi politici, con una giudizio sommario che fa di ogni erba un fascio, in una notte scura in cui tutte le vacche sono nere.
    Ma è colpa dei cittadini o colpa dei politici che hanno servito a tavola cibi indigesti al punto che l'inventore della riforma elettorale appena bocciata dalla Corte Costituzionale, l'aveva definita una "porcata"? Veniva allora, e viene ancora, facile il gioco di chiedersi se quella etichetta fosse una specie di autobiografia volontaria, confessata per orgoglio di appartenenza ad una certa linea politica.
    Hai molta ragione, caro direttore, nel sottolineare, chiudendo l'editoriale, questi aspetti: 1) individualismo dei riminesi, 2) furbizia di certe persone o gruppi, 3) loro recita pubblica, litigando soltanto sui giornali locali (secondo la vecchia lezione dei proverbiali "ladri di Pisa").
    L'ultima tua annotazione ("Ognuno però ha il peso di una classe politica che si merita"), centrando il tema con efficacia, abbisognerebbe di un approfondimento che lo spazio non ti permetteva.
    Anche tu credi che la libera stampa sia il cane da guardia della democrazia. Per questo, quel cane non deve abbaiare alla luna, ma deve registrare ed illustrare, giorno dopo giorno, tutto quello che non va, senza guardare in faccia a nessuno.
    In tempi in cui la crisi della stampa tradizionale fa temere la scomparsa dal formato di carta per molte testate, facendole rifugiare nel mondo del web, occorrerebbe che la gente comune sentisse il bisogno di un'informazione indipendente (come quella che dimostra il tuo fondo), affiancandosi con un sostegno economico al giornale che legge.
    Il quale sostegno dovrebbe garantire al cane da guardia il cibo che altrimenti sarebbe costretto ad attendere da altre mani. Un cibo che, se offerto gratis, sempre contiene delicati e dolci sonniferi perché poi il lettore, alzando gli occhi attorno a sé, non veda quanto accade.
    Cordiali auguri a tutti.
    Antonio Montanari


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  • La tremenda, comica nuvola di Fantozzi non persèguita soltanto il famoso personaggio inventato da Paolo Villaggio 40 anni fa, ma è diventata il simbolo di una condizione che coinvolge tutti. Forse rappresenta pure qualcosa di politico, non so. Sembra rimandare a quel classico verso del Foscolo (sia detto senza offesa per nessuno), che risuonava un tempo nelle menti giovanili, "sento gli avversi numi".
    Con la nuvola di Fantozzi se la prendono le vittime di una condizione di disagio, come l'arrivo sulla spiaggia in contemporanea con un acquazzone, mentre si sperava nel bel sole primaverile. Ma anche il sole ha perso il suo fascino. C'era una volta quello dell'avvenire, cantato dagli anarchici alla fine dell'Ottocento: "Quando sarà abolito il capitale e splenderà il bel sol dell'avvenire avremo la ricchezza generale e la felicità". Che nessuno però s'azzardava a definire, trasformandola soltanto nell'immagine vaga, rubata all'Antico Testamento, dei fiumi che scorrono a latte e miele. Un arguto scrittore, Stefano Bartezzaghi, ha inserito le nuvole fantozziane in un suo gustoso volume (2012) dal titolo che non ammette critiche, "Non se ne può più".
    Ma di questa nuvola che persèguita chi desidererebbe soltanto esser lasciato in pace, esistono altre due versioni: una scientifica ed una politica. Per la prima, ci affidiamo al Servizio Meteorologico dell'Università Federico II di Napoli che, basandosi sulle ricerche di due studiosi tedeschi, conclude una nota con queste parole: "Sembrerebbe che  la  nuvola di  Fantozzi abbia un fondo di verità". La certezza che esiste una siffatta nuvola che guasta tutto, è invece nelle opinioni politiche emiliano-romagnole, tutte le volte che le previsioni del tempo vanno verso la pioggia intensa, e poi di acqua ne scende poca o nulla. È successo nell'aprile 2009 e nella Pasqua 2013. Ma quella nuvola, sostengono tali opinioni, è il prodotto di una "non sufficiente precisione della comunicazione" sullo stato del tempo.
    Il lamento politico, con un tono che dal Veneto sino a noi s'accompagna alla minaccia di azioni legali, ha le sue ragioni fantozziane di esistere, per dire che certe cose succedono soltanto in casa nostra. Ma a calmare gli animi potrebbero servire i dati dell'Arpa regionale che, proprio per il periodo pasquale 2013 (28-31 marzo), così sgrammaticava: "l'afflusso di correnti umide ed instabili determineranno condizioni di variabilità perturbata" con precipitazioni irregolari.


    Antonio Montanari
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    "il Ponte", settimanale, n. 14, 14.04.2013, Rimini


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  • Tra quanti, lungo i secoli, hanno lasciato il pontificato, c'è Gregorio XII. Siamo al tempo del Grande Scisma (1378-1417). Eletto nel 1405, Gregorio XII si rifugia a Rimini il 3 novembre 1408, mentre si prepara il concilio di Pisa e dopo che Carlo Malatesti (1368-1429), signore di Rimini, lo ha salvato da un tentativo di cattura. Carlo, per contattare il collegio cardinalizio, utilizza Malatesta I (1366-1429), signore di Pesaro, che in precedenza si è offerto a Gregorio XII per una missione diplomatica presso il re di Francia, inseritosi nelle dispute ecclesiastiche per interessi personali.
    Carlo e Malatesta I sono parenti. Carlo è figlio di Galeotto I il quale è zio di Pandolfo II padre di Malatesta I. A consolidare la parentela, oltre gli affari e le imprese mercenarie, sono state due sorelle di Camerino, Gentile da Varano sposatasi con Galeotto I (1367), ed Elisabetta con Malatesta I (1383). Il quale è stato in affari e rapporti militari con Urbano VI.
    I lavori a Pisa iniziano il 25 marzo 1409. Gregorio XII è dichiarato deposto. Carlo vi arriva come mediatore fra Gregorio XII ed i padri conciliari, ma in sostanza quale suo difensore. Non è accettata la sua offerta di Rimini per una sede dell'assise ecclesiastica lontana dai fiorentini, avversari di Gregorio XII. Il primo approccio fra Carlo ed il concilio avviene attraverso Malatesta I che si era attivato dopo l'elezione di Gregorio XII (2 dicembre 1406), ricevendo in premio un vitalizio. Mentre era capitano generale di Firenze, Malatesta I aveva avviato negoziati fra lo stesso Gregorio XII e l'antipapa Benedetto XIII (eletto nel 1394), entrambi deposti in contumacia a Pisa il 5 luglio 1409 e dichiarati “scismatici, eretici e notoriamente incorreggibili”.
    Il loro posto, su iniziativa del cardinal Baldassarre Cossa, è preso il 20 giugno 1409 da Alessandro V (che scompare il 4 maggio 1410), detto “il papa greco”, provenendo da Candia. Gli succede lo stesso card. Cossa, con il nome di Giovanni XXIII, il 17 maggio 1410. Questi ricompensa lautamente Malatesta I per i servizi ampi e fruttuosi prestati alla Chiesa durante il concilio di Pisa, al fine della desideratissima unione. Carlo Malatesti interviene ripetutamente per il suo protetto che il 24 dicembre 1412 torna a Rimini. L'imperatore Sigismondo impone Costanza quale sede del concilio. Qui Carlo s'afferma come mediatore fermo ma aperto alle altrui ragioni. Il 4 luglio 1415 legge la bolla di rinuncia di Gregorio XII, scritta a Rimini il 10 marzo. [Anno XXXII, n. 1116]

    Fonte della pagina, Riministoria 2010-Rimini Moderna.
    Di Gregorio XII si parla anche in Alle origini di Rimini moderna (2), Romagna, Europa e poi Bisanzio.
    Indice Alle origini di Rimini moderna.

    Antonio Montanari
    (c) RIPRODUZIONE RISERVATA
    "il Ponte", settimanale, n. 8, 24.02.2013, Rimini


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