• Rimini senza Provincia torna ad essere l'antica preda delle altre grandi o piccole capitali della Romagna. Sono dati di fatto, non vaghe opinioni. Abbiamo perduto la Centrale del Latte, ha chiuso la ex Cantina sociale, la questione dell'aeroporto di Miramare è coinvolta nel tiro alla fune tra Forlì e Bologna. Non con azioni jettatorie, ma con precise manovre si vuole declassare la nostra città anche sotto il profilo bancario, mi spiegano persone bene informate.
    Per tentare di cambiare rotta, nei giorni scorsi a Rimini si è svolto un raduno filosofico ad alto livello, alla presenza di Pitagora, Aristotele e Platone. Di Pitagora si è detto che era qui per un corso di arte culinaria del vitto erbaceo che prende nome da lui. E per spiegare, in una lezione alla Biblioteca Civica Gambacorta per Fanciulli, che la tavola pitagorica non serve ad apparecchiarci i pic-nic. Inoltre ha portato alle autorità competenti una nuova versione di quella sua tavola, rivista e corretta dal Governo Tecnico di Roma: per cui tre per tre fa otto quando i soldi li debbono ricevere da esso i Comuni, mentre fa dieci per il volgo ignorante quando deve versarli alle casse dello Stato.
    Aristotele ha avuto l'ingrato compito di svelare che dietro le magnificenze del piano urbanistico De Carlo, c'era soltanto la volontà di fare pagare ai proprietari anche di un modesto edificio, le spese faraoniche per ristrutturare Rimini. Ecco perché migliaia di ricorsi lo hanno affossato. A Platone è toccato analizzare Sergio Zavoli il quale ha sostenuto, in un paginone del "Sole 24 Ore" (16.9), che l'isola delle rose cantata dal romanziere Veltroni serviva nel 1968 a sanare le ferite della guerra ed a lottare con gli studenti della Sorbona.
    I tre filosofi poi sono stati portati a marciare su Forlì e Ravenna, partendo dal bivio Emilia-Popilia, alle Celle. Qui Aristotele ha scoperto che nel semaforo mancano da un anno alcune strisce pedonali. Platone lo ha smentito: le strisce esistono, sono sotto il nuovo asfalto come idea di striscia pedonale invisibile ma pur sempre presente, anche grazie al Comune che, allertato dai cittadini, se n'è lavato le mani. In quel bivio Emilia-Popilia i tre filosofi hanno assistito all'eroico passaggio di grandi vetture con il semaforo rosso, perché (dicono i guidatori) prima o poi il Comune lo elimina in quanto inutile. Altri automobilisti, di scuola cinica o sofista, erano lasciati parcheggiare indisturbati lungo la pista ciclabile. [Anno XXXI, n. 1096]

    Antonio Montanari
    (c) RIPRODUZIONE RISERVATA
    "il Ponte", settimanale, n. 34, 30.09.2012, Rimini


    votre commentaire
  • Nel suo blog "Sto con le balene", lo scorso giugno la scrittrice riminese Anna Rosa Balducci ha raccontato una scena inquietante vissuta in prima persona, con lei costretta ad intervenire presso una pattuglia di Polizia per evitare “un pestaggio in piena regola”.
    C'è “un gazebo occupato nottetempo da giovani stranieri con sacchi di cianfrusaglie e forse oggetti personali”. C'è l'agente “nervoso, gonfio di muscoli, con una inquietante testa rasata” che inveisce contro di lei che protesta. C'è l'altro poliziotto “più calmo” che interviene e fa cessare l'azione.
    Adesso lo stesso mondo doloroso dell'immigrazione, lo ritroviamo nell'ultima prova narrativa di Anna Rosa Balducci, “La casa color grigioperla” (Ed. Progetto Cultura, Roma).
    Dove si racconta una storia d'ordinaria vita di quindici persone fuggite verso l'Europa per trovare salvezza e futuro: due donne e due uomini vecchi, “i quattro giovani, di cui uno più serio e distinto, l'altro che si intendeva legato alla donna più giovane, sicuramente lo sposo di lei”. E poi un'altra donna giovane e cinque bambini, due femmine e tre maschi.
    Tutto comincia nella missione di frate Giacomo, che raccoglie tre neonati strappandoli alla morte. L'ultimo lo aveva trovato otto anni prima, "nascosto tra i cespugli che erano cresciuti attorno ad una pozza d'acqua, rimasto lì miracolosamente illeso, dopo che una razzia di alcuni predoni travestiti con oscene divise militari aveva colpito il villaggio, rubando e distruggendo". Frate Giacomo, "quando li aveva sentiti trafficare la notte della partenza", non si è alzato a salutarli. Appresa la loro scelta, "aveva inghiottito una lacrima, mentre si costringeva a guardare lontano a quel futuro di cui tante volte aveva parlato". Pensando ai suoi oltre vent'anni trascorsi in quel villaggio, fa un bilancio: vi aveva portato "la parte buona del suo mondo occidentale", l'infermeria, la scuola, un emporio da periferia americana dove trovavi tutto. Dopo l'approdo in Italia, dal gruppo riceve una telefonata. Ricaccia le lacrime con una scrollata di capo: c'era tanto da fare, ancora, nel villaggio.
    L'esperienza narrativa di Anna Rosa Balducci sconvolge la trama con l'intervento di più narratori. C'è quello che racconta gli eventi da fuori, poi un uomo giovane che appartiene ai profughi, ed infine un bambino dello stesso gruppo di profughi.
    L'autrice a metà del lavoro dialoga con “il solito osservatore” che parla di una storia noiosa, di retorica dei buoni sentimenti, e ricostruisce la trama nascosta degli antefatti, avviando una specie di labirinto narrativo che serve a testimoniare di un semplice fatto, ovvero della complessità delle vicende vissute da questi sconosciuti. Che agli occhi della gente appaiono soltanto dei soggetti pericolosi da cacciare dalla casa in cui hanno trovato rifugio.
    [Alla versione web del 9.9.2012.]

    All'ARCHIVIO delle pagine su Anna Rosa Balducci.

    Antonio Montanari


    votre commentaire
  • Era il 1990. Chiusa la stagione turistica, scrissi nel Tama n. 362 una lettera aperta al Questore di Forlì, dichiarandomi certo che, nel suo consueto bilancio autunnale, egli avrebbe ribadito un'opinione già espressa negli ultimi anni: in Riviera non esistono fenomeni mafiosi. Per lui non c'era la grande criminalità, ammetteva soltanto che c'era quella piccola. Le statistiche gli davano ragione. A Riccione, in giugno, era stato arrestato per un furto d'auto uno slavo pluriomicida. Il reo subì il processo sorridendo, e dopo la condanna ottenne la giusta libertà provvisoria. Per poter poi ammazzare sembra altre sei persone, in due tornate. Lo slavo aveva una base tra Rimini e Santarcangelo. A Rimini era già stato arrestato. Secondo il suo avvocato, era un tipo che si notava per "il petto coperto da spaventose cicatrici". Forse per pudicizia, nessuno lo aveva mai fotografato "nature", prendendo nota di quei "segni particolari" tanto evidenti. Il 'grande' delinquente (che uccise lontano dalla Riviera), finì nelle nostre statistiche della 'piccola' criminalità, a causa d'un furto d'auto.
    L'impressione, in questa chiusura d'estate del 2012, è che ci troviamo davanti allo stesso copione. Il prefetto di Rimini il 28 agosto, dopo gli spari con tentato omicidio di un tunisino al ponte dei Mille, parlava di episodi "gravi ma isolati". Rifiutando le statistiche giornalistiche che mettono Rimini al secondo posto in Italia per numero di crimini denunciati nel 2011, sottolineava giustamente che con il turismo aumenta la gente, e si sa come oggi vanno le cose. Da vecchio, inutile cronista aggiungo che il turismo ha sempre portato gente in città, ma una volta non faceva aumentare i crimini come ora.
    Adesso per quel tentato omicidio sembra aperta una nuova pista, dopo che il 2 settembre al Covignano è stato ucciso un tassista di 55 anni. Il presunto killer è sotto osservazione anche per l'episodio del ponte dei Mille e gli spari esplosi contro un omosessuale alla vecchia Cava. Tutto questo ovviamente non significa nulla, sono soltanto notizie che vagano nell'aria. Il 28 agosto il prefetto assicurava i cronisti che, per gli spari al ponte ed alla cava, gli investigatori erano a buon punto. E concludeva: "Non voglio nascondere che da parte dei cittadini la percezione della sicurezza è cambiata", ma non siamo nel Far West. Forse a Rimini si è imposto il modello milanese di spaccio di droga, libero ed aperto, come sa bene la Polizia meneghina. [Anno XXXI, n. 1095]
    Al dossier mafia de "il Rimino", 2010.
    Alle rubriche Tama del 1990 [o su Scribd].

    Antonio Montanari
    (c) RIPRODUZIONE RISERVATA
    "il Ponte", settimanale, n. 33, 23.09.2012, Rimini


    votre commentaire
  • Alla fine il romanzo riminese di Walter Veltroni ha messo d'accordo tutti: per dirla con Fantozzi, è una bojata pazzesca. Ha cominciato l'ex sindaco Giuseppe Chicchi. D'accordo sulla demolizione dell'isola delle rose (se fosse sopravvissuta, oggi il mare sarebbe pieno di "repubbliche delle poveracce"), avverte: l'isola non c'entra nulla con il Sessantotto. Per Chicchi la risposta alla crisi in cui Italia e Rimini vivono, non si trova nell'effimero, ma nel lavoro faticoso e lento per rafforzare le istituzioni politiche, economiche e culturali.
    Poi è arrivato D'Alema, con un occhio rivolto al Veltroni del '68 (un tredicenne alla scoperta della vita), e l'altro a se stesso in viaggio per l'Europa, da Praga a Francoforte. Il sapore della nostalgia, notato dal leader Massimo nel romanzo del giovane Veltroni, potrebbe sottintendere una deplorevole ispirazione borghese che fa sorridere l'antico rivoluzionario di professione D'Alema.
    Un altro recensore, Nerio Nesi, descrive il libro veltroniano con raffinate parole: è ispirato alla commedia all'italiana. Quella che fatto le fortune di cinema e tv. Infine la domanda più angosciante di Nesi, approda alla riva della comicità pura: perché, se quell'isola è affondata, è finito pure sott'acqua il suo ricordo? Ma Nesi non è mai venuto a Rimini? Per spiegargliela, usiamo le parole di un altro illustre romanziere che con le sue pagine ha costruito un monumento alla memoria degli anni Trenta nella nostra città, Sergio Zavoli. In questa stessa rubrica, nel 1993 (n. 467) abbiamo riportato alcune sue frasi pronunciate alla tv di San Marino: "Rimini non onora il cittadino che si fa onore. È dissacrante, disincantata, ironica. Non concede più di tanto, è scettica. La sua diversità risale al tempo dell'inverno vissuto nei caffè, che è il suo tempo, non l'estate: e noi d'inverno discutevamo se si dovesse dire tela gommata o gomma telata. Rimini gode nell'immaginare, nell'esagerare".
    Dopo 20 anni che cos'è cambiato? Nel 1992 (n. 447) avevamo immaginato Achille Occhetto inaugurare il monumentale edificio del Kursaal di cartapesta, dieci metri per tre, legno compensato, primo esempio della Rimini del futuro, pronunciando un applaudito discorso per additare a tutti "l'opera nuova che resterà immortale nei secoli avvenire". Il nostro Occhetto concludeva chiedendo ai riminesi: "Volevate la metropolitana?". E prometteva l'arrivo di trenini giocattolo per tutti. Nel 2012 è giunta la ruota gigante. [Anno XXXI, n. 1094]

    Antonio Montanari
    (c) RIPRODUZIONE RISERVATA
    "il Ponte", settimanale, n. 32, 16.09.2012, Rimini


    votre commentaire



    Suivre le flux RSS des articles
    Suivre le flux RSS des commentaires