• Egregio Signor Stato, da Voi m'è arrivato il modulo solenne per il Censimento. I tg m'hanno spaventato, non ho ancora aperto la busta che contiene il malloppo. Anche perché a quello mio personale se ne sono aggiunti altri tre circonvicini, provocandomi macchie rosse sul viso e pruriti in varie parti del corpo.
    Dello Stato sono stato umile servitore, come per varie generazioni lo furono tutti i rami della famiglia da cui provengo. So che cosa significhi la parola stessa di Stato, non un fiato di voce ma una sostanza delle cose. Lo sperimentai tanti anni fa: quando nelle scuole più i maestri degli allievi tentarono di sovvertirlo. Con calma e pazienza dovemmo affrontare le buriane dei cosiddetti contestatori, tutte persone di eccellente intelletto, tanto che poi loro, che maledivano lo stato malridotto dello Stato, fecero di tutto per entrarvi e trovare ottime sistemazioni nelle varie articolazioni della Pubblica Amministrazione.
    Questo non significa però che pure lo Stato non commetta i suoi errori. E che in sé non abbia qualcosa di cui non potrebbe dichiarare tutto. Si compone una biblioteca intera con i volumi che riguardano segreti di Stato, misteri di Stato, armadi della vergogna, deviazioni dei Servizi segreti. Ha ragione, signor Stato, a chiederci di essere sinceri. Ma forse non abbiamo tutti i torti neppure noi umili cittadini, spesso trattati alla stregua di sudditi, a chiedere che su certe cose bisognerebbe cambiar musica. Quella che ci è stata fatta ascoltare, talora non è piaciuta, non perché siamo noi di gusti difficili, ma soltanto perché direttori stonati o cantori sfiatati non hanno fatto bella figura nei pubblici concerti.
    Un esempio? Nel diario segreto di Tina Anselmi sulla P2, pubblicato da Anna Vinci, un capitolo è intitolato "Sanno che sono sola". Vi si legge: "Da varie parti politiche mi si segnala la volontà di chiudere questa vicenda in maniera indolore" (p. 369). L'intervento di Tina Anselmi alla Camera il 9 gennaio 1986 terminava ricordando che nel sistema democratico "non vi è e non può esservi posto per nicchie nascoste o burattinai di sorta" (p. 431).
    Se non mento al Censimento per principio e non soltanto per paura di sanzioni, lo stesso comportamento vorrei che lo Stato assumesse verso i suoi cittadini: essere un libro aperto e non pure, per gravi vicende, un fascicolo chiuso, ben nascosto, con pagine cancellate o strappate. [XXX, 1053]


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  • Un noto gruppo di studiosi locali, al termine della tradizionale cena d'agosto sull'Appennino organizzata per svelare nuovi segreti della nostra cultura, è giunto in possesso di una lettera riservata dell'imperatore Tiberio, anche grazie all'alta gradazione alcolica dei ripetuti brindisi finali. Una fonte riservata ce n'invia una copia. Essa comincia con una drammatica domanda: "Per quanto tempo ancora, o cittadini di Rimini, abuserete della mia pazienza, e recherete disonore al mio illustre ricordo, continuando a far transitare automobili sull'antico ponte che porta il mio nome e sopporta la vergogna di non aver voi trovato una soluzione alternativa?".
    La lettera prosegue ricordando per filo e per segno quanto avvenuto in città a proposito del ponte di Tiberio sin dagli anni del dopoguerra, quando sopra di esso passavano pure i camion con rimorchio, prima che venissero realizzate l'autostrada e la nuova circonvallazione. Seguirono i progetti di abbattimento del Borgo di San Giuliano, sul quale Tiberio rivendica un diritto di controllo per l'ovvio motivo che senza il suo ponte per il quartiere ci sarebbe un isolamento totale.
    Tiberio conosce i progetti che volevano trasformare la zona a monte del ponte in una piscina olimpica, i lavori del porto canale con le banchine inondate regolarmente, il ripetuto intervento per salvare il salvabile con l'immenso pannolone posto ai suoi piedi verso il mare , l'idea di creare una strada alternativa, ed infine (ai nostri giorni) il fatto che, dove doveva passare quella strada, sorgerà una casa con regolare licenza comunale.
    Noi non abbiamo nulla da obiettare ai pensieri di Tiberio anche perché, come ha scritto il prof. Luciano Canfora sul CorSera del 27 agosto, era un imperatore maledetto il cui cadavere fu trascinato con gli uncini fino al Tevere e scaraventato nel fiume. Quindi il nostro Tiberio di fiumi se ne intende e non vorremmo che, per colpa di questa sua lettera riservata, a qualcuno di casa nostra venisse in mente di ripetere l'operazione con l'effigie di chi scrive. I tempi non sono dei migliori. Lo dimostra il fatto di cronaca che ha visto per protagonista un assessore della nostra Provincia. Per aver ricordato che, mentre si pensa al metrò di costa tra Rimini e Riccione, è un'impresa garibaldina quella di raggiungere Bologna sulla strada ferrata, è stato querelato dalle Ferrovie. Perché l'Alta Velocità snobba la nostra Riviera? Un mistero degno di Tiberio, verrebbe quasi da dire. [XXX, 1052]

    Antonio Montanari
    (c) RIPRODUZIONE RISERVATA

    il Ponte, Rimini, settimanale, 4.9.2011


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  • Nadia Urbinati, studiosa concittadina che insegna Scienze politiche alla Columbia University di Nuova York, ha rilasciato un'interessante intervista al "Corriere di Romagna" (16.8). La si potrebbe riassumere con le tre parole che ha usato passando in rassegna i problemi di Rimini: la città ha bisogno di "coraggio per cambiare". Ci sia consentito di segnalare che alla prof. Urbinati va il merito di aver discusso del presente e del futuro di Rimini, senza citare Fellini che fa parte ormai della insopportabile retorica da "un tanto al chilo", alla quale nessuno vuole sottrarsi quando affronta simili questioni.
    Nelle scorse settimane ci è capitato di descrivere lo spirito archeologico della vita politica locale che ha lasciato deperire il centro storico, afflitto dai ruderi di palazzo Lettimi, e dai fantasmi del teatro Galli e del meraviglioso anfiteatro svanito dalla memoria collettiva e dai progetti pubblici.
    La prof. Urbinati ha dichiarato che il centro storico di Rimini è dominato da un "senso di sciatteria e di abbandono". E che il castello malatestiano "resta soffocato da un parcheggio". L'immagine della piazza principale della Rimini medievale, è oggi desolante. Per parecchio tempo alla città è stato offerto come tranquillante il sogno del fossato del castello che doveva rivoluzionare tutto, e che rassomiglia tanto al progetto del trasporto rapido costiero.
    Sulla piazza del castello, la prof. Urbinati ha precisato: "Ancora una volta manca una visione di recupero. È un problema generale, mi sembra, non solo dei politici: gli operatori investono meno nella riqualificazione delle aziende turistiche che nell'acquisto di case, contribuendo così alla cementificazione. È una catena infernale della quale sembra che nessuno si renda conto. Ma non si può andare avanti a lungo...".
    Circa il metrò di costa, la prof. Urbinati ha puntualizzato: a Bologna un esperimento simile "si è rivelato un bluff, un errore (carissimo)". Ed ha suggerito un'iniziativa politica rivolta a far dirottare i fondi del trasporto rapido costiero verso l'emergenza attuale, "il vero problema urgente: la salute del mare". E questo perché il nostro sistema fognario è stato costruito "per un Comune che non aveva la popolazione della capitale del turismo".
    La stoccata più severa è nel passo in cui la prof. Urbinati sintetizza la propria opinione sul mondo riminese: in tutte le sue componenti politiche e civili, esso da varie generazioni ha una visione miope dei problemi. [XXX, 1051]
    Antonio Montanari
    (c) RIPRODUZIONE RISERVATA
    il Ponte, Rimini, settimanale, 28.8.2011


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  • Nello spirito archeologico della nostra politica, non ci sono soltanto i ruderi di Palazzo Lettimi, i cento progetti per il Teatro Galli, l'ex convento di San Francesco destinato a Biblioteca dell'Università, e la torre libraria gambalunghiana sognata dal 1956. C'è pure una grande offesa al nostro passato: l'Anfiteatro romano dimenticato da quasi tutti. L'ing. Luciano Gorini anche di recente ne proponeva la riscoperta, ovvero la rimozione di tutto ciò che impedisce di apprezzarne la maestosità. Di forma ovale, misura 120 per 91 metri. Sugli scavi del 1843-44 scrisse Luigi Tonini, augurandosi che ne fossero fatti altri per "non comune esempio di patria carità".
    L'Anfiteatro sorge tra Ausa e Marecchia di una volta. Vicino cioè ai due antichi porti, il più vecchio dell'Ausa (XI sec.) e l'altro sul Marecchia (XIV). Nel 1760 Giovanni Bianchi calcola che tra la torre dell'Ausa sul mare e le mura cittadine, c'erano 316 piedi riminesi (172 metri), mentre ai suoi tempi la distanza delle stesse mura dalla linea del mare, è di 1.300 piedi, 708 metri.
    Che cosa fosse successo non lo sapevano né Bianchi né Tonini: è ciò che mezzo secolo fa ci facevano studiare in pesanti libri di testo di Scienze. Dove, senza preoccuparsi di facilitare l'apprendimento, gli autori ci avvertivano che esiste l'opera continua degli agenti che modificano la plastica terreste, con fenomeni di colmamento e di sedimentazione. Opera "che continua ancora oggi nell'epoca in cui viviamo".
    Se tornasse all'aria, l'Anfiteatro potrebbe servire pure all'insegnamento delle Scienze che oggi sono molto trascurate. Della loro parte geologica dovrebbero occuparsi pure quanti discorrono di Storia. Prendendo come punto di riferimento il Delta del Po.
    Sull'Anfiteatro avremmo voluto chiedere qualcosa al nuovo Assessore alla Cultura. Ma ce ne tratteniamo, dato che il Sindaco ha avvertito tutti gli Assessori di parlare poco con i cronisti, come brillantemente ha spiegato Marco Letta sul "Corriere di Rimini" del 31 luglio. Giorno in cui lo stesso Assessore alla Cultura è stato intervistato da Vera Bessone del medesimo giornale, dando un'anticipazione di peso. Circa i due dirigenti della Cultura e della Biblioteca andati in pensione, ha detto che per ora non ha deciso nulla. Per le casse del Comune e le tasche dei cittadini, gli auguriamo di scegliere una delle ipotesi che presenta: "Organizzare un assetto interno con le figure esistenti". Ovvero la gente che c'è già, basta ed avanza. [XXX, 1050]

    Antonio Montanari
    (c) RIPRODUZIONE RISERVATA-il Ponte, settimanale, Rimini, 7.8.2011


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  • Caro Postumo, il tempo fugge senza indugio, direbbe Orazio. E lo spirito archeologico della vita politica lo rincorre con entusiasmo. Il 29 luglio 2005 un comunicato annuncia il nuovo accordo fra Comune di Rimini ed Ateneo di Bologna per la Cittadella universitaria. Entro la prima età del 2007 partiranno i lavori di riqualificazione di Palazzo Lettimi, sede amministrativa e di rappresentanza dell'Ateneo. Ed entro il 2006 inizieranno quelli di trasformazione dell'ex Convento di San Francesco in nuova Biblioteca centralizzata del Polo riminese, con spazi per lo studio e gli incontri. Sino ad oggi non abbiamo visto nessun cantiere né a Palazzo Lettimi né all'ex Convento di San Francesco. Lo spirito archeologico trionfa nel suo splendore.
    Da anni ascoltiamo i discorsi sulla mancanza di spazi nella Biblioteca Gambalunga. Non si accettano donazioni normali ed in passato si sono ripuliti fondi librari regalati da cittadini (abbiamo ascoltato le proteste di gente qualsiasi che passava per strada e vedeva partire i camion dal cortile interno dell'antico edificio). Sul tema nel 2008 è uscito un volume con un progetto aggiornato al 2005, in cui si legge che già nel 1956, da parte dell'allora direttore Mario Zuffa, si era pensato di realizzare una torre libraria come quella illustrata nel progetto stesso che è al centro del testo, edito dall'Istituto dei Beni Culturali della Regione.
    La novità più importante del 2008 è che quella torre, sul retro del palazzo Visconti che è sul retro di quello Gambalunga, è intesa come "un riferimento attivo nella percezione degli spazi". Ovvero: se vi date appuntamento con qualcuno, prendete come punto  d'incontro la torre, così non vi perdete. Pure la torre resta un sogno. Mancano i soldi. Ci sono soltanto quelli per gli stipendi: cinque dirigenti del settore cultura-turismo nel 2009 costavano oltre 365 mila euro, ovvero 73 a cranio su un totale di 2,3 milioni per tutti i 30 dirigenti comunali.
    Completo il discorso con due aggiunte. Il Comune nel dopoguerra rifiutò i danni di guerra per Palazzo Lettimi. Alla cui riedificazione pensò una società nel 1987. Quando l'ing. Luciano Gorini precisò che lo stesso progetto lui l'aveva già presentato tre anni prima.
    La "Biblioteca Campana" che andrà a Palazzo Visconti, non è stata donata al Comune, ma sarà ospitata in prestito per 25 anni dal privato al quale sarà permesso di nominare un Conservatore addirittura con funzioni di vigilanza sul lavoro dei dipendenti del Comune stesso. [Anno XXX, n. 1049]

    Antonio Montanari
    (c) RIPRODUZIONE RISERVATA

    il Ponte, settimanale, Rimini, 31.7.2011


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